Quartiere Latino 3
Antonella Raio, Fabrizio Cicero, Vincenzo Rusciano
26 novembre 2022
Via Domenico Cirillo, 18, Napoli.
Quartiere Latino, condominio-museo d’arte contemporanea, a cura di Nicola Vincenzo Piscopo e col supporto di Atelier Alifuoco, é arrivato alla terza tappa e festeggia il suo primo anno di attività in occasione di Art Days Napoli – Campania. Sabato 26 novembre dalle 18:00, nel condominio di via Domenico Cirillo 18, a Napoli, verranno presentate le nuove opere di Antonella Raio, Fabrizio Cicero e Vincenzo Rusciano.
Il progetto nasce nella necessità di un archivio del contemporaneo col quale si intende attuare una mappatura di studi d’artista in città, mediante la realizzazione di opere site-specific negli ambienti di un palazzo napoletano. L’idea è quella di una collezione permanente che cresce a cadenza semestrale, valorizzando gli artisti che si nutrono della città e che ne restituiscono l’essenza nell’arte stessa.
Nel dicembre 2021, in occasione della prima edizione degli Art Days, Quartiere Latino ha presentato i site-specific di Clarissa Baldassarri, Gabriella Siciliano e Paolo La Motta. Nel secondo appuntamento sono state installate le opere di Andrea Bolognino, Lucas Memmola e Veronica Bisesti.In questa terza edizione i visitatori potranno seguire il percorso museale insieme alle opere di Antonella Raio, Fabrizio Cicero e Vincenzo Rusciano, artisti protagonisti di questa giornata, grazie ai quali il Quartiere Latino si arricchirà, stratificando nuove storie e vecchi segreti. I visitatori accompagneranno la lettura delle nuove opere con un testo critico di Stefania Trotta.
L’inaugurazione avverrà al primo piano, negli spazi di Atelier Alifuoco, un vecchio appartamento napoletano trasformato in studio di artisti nel 2016. Gli ospiti sono invitati ad entrare in contatto con i mondi personali degli artisti in residenza: Maria Teresa Palladino, Lucia Schettino, Francesco Maria Sabatini e Nicola Vincenzo Piscopo. La serata é accompagnata dai dischi di DJ Ciccio Star, dai vini di Antica Cantina Sepe e il catering di Lombardi 1892 che supportano QL per la raccolta fondi, finalizzata alla realizzazione sia delle future opere che della cura del condominio-museo.
Quartiere Latino e Atelier Alifuoco saranno visitabili durante gli Art Days, il 24 e il 25 novembre dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 16 alle 19:00, il 27 dalle 16:000 alle 19:00.
Vincenzo Rusciano è nato a Napoli nel 1973. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Brera, attualmente è Docente all’Accademia di Belle Arti di Foggia e di Napoli. Lavora con la Galleria Nicola Pedana di Caserta. Tra le recenti mostre personali: Metal Novel, Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli, sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee (2022); Skyline, Galleria Nicola Pedana, Caserta (2018); Nero Moto Perpetuo, Museo Civico di Santa Maria dei Servi, Città della Pieve (PG), organizzata da “Il Giardino dei Lauri” – Collezione Angela e Massimo Lauro (2017); MAC: certain regard, MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, Lissone (MB), curata da Alberto Zanchetta (2016); Not so Bad in Capri, Fondazione Axel Munthe – Villa San Michele, Anacapri, curata da Maurizio Siniscalco (2016); Not so Bad, Annarumma Gallery, Napoli (2016); Echi dal bianco, MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, Lissone (MB), curata da Alberto Zanchetta (2015); Sponda, Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, Napoli, curata da Angela Tecce e Alberto Zanchetta (2014).
Antonella Raio, docente e artista visiva. Le sue sculture nascono come performance che fungono da “azioni di avvicinamento”. Gli incontri che generano materiali audio e video divengono parte viva delle sue sculture. Fra le esperienze lavorative vanno ricordate “Call for Bushwick” NY, con l’istallazione “Innesti” 2011, la personale “Innesti” con Galleria Primopiano, Berlino 2011, “Ritmo Bodoni” Igav, castel Saluzzo 2019, Britannique, collezione Jannotti Pecci “ Ascolto” 2020. Raio è Finalista “un opera per il castello” 2011. Nel 2022 è al “Sachaqua Centro de arte” Amazzonia Peruviana con una scultura urbana dal titolo “C’è piede”.
Fabrizio Cicero, nato nel 1982 a Barcellona Pozzo di Gotto, attualmente vive e lavora tra Napoli e Roma. Tra le iniziative che lo hanno visto partecipe nel 2022 la collettiva “the extended body” presso 1su9 Gallery, Roma, nel 2021 la rassegna Osare Perdere di Fourteen ArtTellaro, precedenti esposizioni sono state al Villaggio Olimpico, Mlac – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Musja Museo di Jacorossi e Sala Santa Rita, a Roma; Castello di Rivara di Torino, Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, e a Palermo, in occasione di Manifesta 12. Lavora attivamente come light designer per il teatro.
Testi di accompagnamento di Stefania Trotta
In occasione del primo anniversario di Quartiere Latino
E se vincessero i buoni – Antonella Raio
L’opera che Antonella Raio dona e dedica agli artisti di Atelier Alifuoco, per il terzo appuntamento di Quartiere Latino, è come una goccia di speranza, vera e necessaria.
La sua sensibilità, che abbraccia temi cari all’umano e alla natura, completa quell’immaginario collettivo che fa dell’artista un tramite: un comunicatore, se non un promotore di certi valori, che sono davanti agli occhi di tutti, eppure in pochi li vedono davvero o li riconoscono come propri.
Al secondo piano del ballatoio che affaccia all’interno del cortile stretto e alto del palazzo, quasi come una torretta fortificata, l’artista ha posizionato un vaso, il contenitore per eccellenza. In questo oggetto, nella sua semplice e morbida bellezza materiale, c’è tutta la volontà di aprirsi, di riempire e difendere, di preservare un vuoto e di accogliere come un eco, le virtù creative tramandate dai segni archetipici delle civiltà più antiche. Ma la capienza è un concetto che va al di là del suo limite spaziale e come un fiume in piena finisce per straripare e dare linfa a nuove imprevedibili forme.
E quale forma migliore di una pianta come l’edera, vigorosa, rigogliosa, sempreverde, una rampicante resistente al freddo che si trova a ridosso di ruderi, su alberi ma anche nei sottoboschi ombrosi per coprire, ricoprire, unire e dividere distanze ed energie vitali.
In un luogo costruito dall’uomo nel tempo, dove la luce stenta a raggiungere il cuore interno se non in maniera tagliente, impervia la criticità della sopravvivenza, nella nuda verità.
Si dice che l’edera fiorisca nei suoi primi dieci anni. Ma la speranza può assurgere ad augurio per una fioritura dell’umano?
La scritta in foglia di palma “E se vincessero i buoni” che sembra un tutt’uno con l’edera, non è un titolo, non è una domanda, ma forse un’azione.
L’artista vuole forse invitare a riflettere, a mettersi nei panni dei buoni. Ma chi sono i buoni? Sono forse quelli che credono di essere nel giusto o sono gli inconsapevoli, ma non perciò meno manchevoli, che non sanno di non esserlo. Viene da chiedersi quale ruolo potrebbero rivestire dei probabili “cattivi” o se piuttosto, ci sono solo tutti gli Altri, quelli che, fino alla fine, aspettano, per vedere cosa succederà, cosa sopravvivrà.
Esposito – Fabrizio Cicero
Nelle opere di Fabrizio Cicero nulla nasce per caso ma molto probabilmente da un sogno. Il mondo onirico è sempre presente all’interno dei suoi lavori che rivelano un’attenzione per la fascinazione teatrale fatta di luci e marchingegni dai significati indefiniti.
Un vecchio citofono è posto all’esterno del palazzo che accoglie Quartiere Latino. Un oggetto che a differenza di altri suoi coetanei, ricopre ancora, anche in una città dove le voci delle persone regnano sovrane, la sua funzione.
Quello che fa Cicero è rendere il citofono un segnalatore di indizi. L’artista, ispirandosi alla storia centenaria della vicina casa dell’Annunziata, inserisce negli appositi spazi destinati ai nominativi, sempre lo stesso cognome: Esposito.
Questa discendenza etimologica deve il suo big bang al nome del primo bambino giunto fino a noi, dai registri seicenteschi dell’Annunziata, che portava il cognome, famoso a Napoli, degli Esposito che derivava per l’appunto dall’essere esposto. I neonati venivano lasciati quasi sempre di notte ed in maniera anonima tramite la famosa ruota degli esposti, una bussola girevole e cilindrica rivolta in parte verso l’esterno delle mura della casa dell’Annunziata e l’altra verso l’interno. Quando la ruota girava suonava una campanella e il personale interno, apriva lo sportello e accoglieva il neonato.
Questo concetto dell’abbandono, del non nome è fortemente presente nella ricerca dell’artista, che nel “Ridare vita alle cose morte” infonde la sua personale poetica.
Altro elemento che come una cornice protegge l’oggetto è la classica rete elettrosaldata che viene posta davanti i citofoni di diversi palazzi del centro storico a mo’ di schermo per scoraggiare i furti destinati al riciclo clandestino dei materiali di recupero.
Questa rete simula quasi uno scudo che protegge ma mette delle distanze: come una barriera che suggerisce l’uso di un filtro, necessario per la sopravvivenza del dispositivo.
Attraversata la fitta rete metallica, si accende il problema dell’identità negata o annullata che porta in sé il ricordo di una scintilla, qualcosa che è stato e che continua ad essere esposto nonostante resti solo oramai, la voce dell’assenza.
Fregio Cirillo – Vincenzo Rusciano
Il lavoro di Vincenzo Rusciano persegue e prosegue la sua ricerca sulla polifonia della precarietà.
Dopo aver salito le rampe di scale, al terzo piano dello stabile che trasuda un vissuto dalle mura sofferenti, si intravede quello che per l’artista è un fregio, simile ad un possibile architrave dei giorni nostri, più che contemporaneo, perché immerso nella liquida quanto mutevole realtà popolare partenopea.
Rusciano lavora sistematicamente con quelle che sono le contraddizioni del vissuto cittadino e forse proprio per questa sua capacità di assorbimento e di rielaborazione, riesce a infondere queste insicurezze con diversi livelli di intensità di forze combinando materiali che salda e compone, donandole una nuova vita inaspettatamente armonica.
La trave che regge il ballatoio, un luogo di passaggio frequente, è attraversata da un serpentina di 12mm che si incontra e segue l’andamento delle altre travi portanti. Qui, tre manometri in acciaio, oggetti in disuso e non funzionanti che ricorrono nel lavoro di Rusciano, sembrano posti in maniera strategica come a segnalare/misurare un’attività di controllo sismica silente ma presente nel palazzo, normalmente abitato.
Quest’unione di intenti tra strutture portanti in ferro degli anni 80’ che interferiscono con la struttura muraria preesistente, sembra presagire una torre di babele nostrana dalle forme e possibilità rubikiane.
Le parti in rame saldate con lo stagno si confondono con l’intelaiatura interna del ballatoio, che non nasconde ma, anzi, mostra tutta la sua nudità, quasi un non ritardo che trova un’ironica nuova veste nelle mode estetiche più attuali, in termini impiantistici.
Si allude ad un circuito, come se il palazzo contenesse in sé una capacità interna di autoanalisi, sottolineata dall’inattività delle lancette dei manometri, che sembra sospesa, ma che genera interferenze, anomalie, frammenti, altre bellezze che sono una radiografia di ciò che si vede, come un’impalcatura continua che si regge su un perfetto stato di libero arbitrio.
Stefania Trotta, novembre 2022