Cantieri e necessità: nuovi varchi per Quartiere Latino

Di Marta Ferrara

dentro, fuori di Carmela De Falco ipotizza l’apertura di nuovi varchi. Uno zerbino posto al piano terra del condominio, proprio all’inizio della rampa di scale e di fronte a una porta chiusa, viene scelto dall’artista per essere traslato poi, in zucchero, all’ultimo piano dell’edificio. Situato dall’artista di fronte ad una parete cieca, che chiude gli spazi condominiali a nostra disposizione, ci faceva immaginare nuove aperture e possibilità di costruzione di ambienti comunitari. 

Contingenze, come dice Nicola Vincenzo Piscopo: ‹‹Un ostacolo sul percorso, un incidente imprevisto (…) che ci fa cambiare strada (…) è qualcosa che può succedere o no, è qualcosa che non rientra nelle necessità››. Il cantiere in corso a Quartiere Latino è stato proprio questo, un evento imprevisto che ci ha portati necessariamente a prendere una nuova direzione. 

Spiazzati, e per pochi momenti persi, ad un certo punto abbiamo scelto di accettare il cantiere non come ostacolo alle nostre attività, ma come possibile nuovo veicolo, significante di tutto il work in progress che caratterizza le piccole magie del condominio-museo. Si, è vero, fare incontri e aperture al pubblico può essere più complesso, quando dal lunedì al venerdì i suoni e le voci degli operai sono più squillanti e forti delle nostre; e la polvere, quanta polvere, si va a depositare sulle opere. La manutenzione si fa complessa e in alcuni casi diviene inutile. Ma questa polvere è forse caratteristica primaria di un luogo di sviluppo e crescita collettiva, nella militanza quotidiana, nel ‹‹buttare le mani›› come metaforicamente diciamo in napoletano: essere attivi, sporcarci immergendoci con tutti gli abiti in quello che c’è da fare. 

Un foglio di sala non renderà mai giustizia a quello che è effettivamente il lavoro di un’artista, men che meno dei dodici artisti che non solo hanno prestato le loro menti e la loro attività ad un progetto visionario come quello di Piscopo per il condominio-museo, ma sono anche presenti e attivi interpreti di questo nuovo stato condominiale, sporco e carico di stratificazioni.  In questo dominio comune, il cantiere ci ha donato un nuovo ambiente, saturo di promesse. Qui, in questo deposito Veronica Bisesti ha ritrovato gli elementi che compongono il cappotto prezioso con cui ha abbracciato i pavimenti in piperno degli ambienti condominiali, nel 2021. Qui davanti, Carmela De Falco incontra le forme geometriche di un primo tappetino per dentro, fuori. A tutti noi si è aperto poi un nuovo varco, per riflettere finalmente su quella che è la fatica

Worksite raccoglie assieme, in questi umidi ambienti, quelli che sono i ragionamenti e le proposte degli artisti latini, ovvero già presenti in collezione, per raccontare il lavoro svolto nel corso degli ultimi due anni: un lungo cantiere di idee, sperimentazioni e connessioni trasversali tra arte contemporanea quotidianità urbana. In attesa di avere un rinnovato condominio-museo, l’invito da parte di noi curatori era di focalizzare l’attenzione sui processi di laboratorio e worksite, appunto cantiere, che caratterizzano la città di Napoli, come già suggeriscono Fregio Cirillo di Vincenzo Rusciano e la stratificata pittura murale di Andrea Bolognino, entrambe opere permanenti realizzate nelle precedenti edizioni.  Le inaspettate derive che il nostro invito ha preso sono visibili in questo display espositivo, che ricongiunge, in queste due sale e nel resto del condominio, quel rapporto intrinseco tra il lavoro, fisico e mentale, dell’artista e quello dell’operaio. Al contempo, le impalcature e i materiali edili, abbandonati nei giorni di pausa dagli operai, evocano uno stato di sospensione fascinoso, simile a quello della rovina, che già caratterizza questo edificio. 

In una recente visita alla Biennale di Architettura di quest’anno ho incontrato alcune parole che perfettamente descrivono l’insieme di situazioni e operazioni artistiche context specific di questa mostra, nel progetto di Flores e Prats Architects all’Arsenale.

‹‹Ci piace la condizione silenziosa e discreta di una rovina quando ci si trova al suo interno ed essa si presenta come tale, quasi aspettasse pazientemente e in silenzio la nostra valutazione. Quella rovina, che descrive il trascorrere del tempo nei segni››, direi epidermici ‹‹lasciati su di essa, non separa i suoi diversi periodi; al contrario li unisce convertendo l’edificio in un palinsesto. Questo carattere atemporale della rovina››, e potremmo dire anche del cantiere, ‹‹la rende aperta all’interpretazione, permettendoci di incontrare quel momento preciso in cui sopraggiunge un’affinità tra i nostri ricordi personali e i ricordi del luogo››.